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la birra di castagne del monte amiata
Erbe officinali del Monte Amiata
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Le erbe officinali del Monte Amiata

 

L'Amiata grazie alla sua posizione geografica e alle caratteristiche morfologiche è una montagna con delle peculiarità botaniche particolari.

Il viaggiatore che si avvicina a questo massiccio montuoso tanto che provenga dalla Val D'Orcia piuttosto che dalla Maremma dal Lazio o dall'Umbria percepisce la sua maestosità nella ricchezza vegetazionale del territorio.

Se la sagoma rileva il suo inconfondibile profilo vulcanico, la conferma di una attività sotterranea è testimoniata dalle numerose sorgenti termali che sgorgano a temperature elevate. I suoi terreni sono ricchi e alle sue pendici l'opera dell'uomo ha potuto elevare ai migliori livelli mondiali le produzioni di olio e vino.

Nel punto di contatto fra il terreno sedimentario preesistente l'attività vulcanica (ultimo periodo dell'era Cenozoica-Pleistoce) sgorgano in superficie numerose sorgenti a una altezza che varia dai 600 metri ai 900 che poi è la quota in cui sorgono i paesini che costituiscono l'anello abitato della montagna.

Oltre quota 800 metri l'Amiata esprime tutta la sua vitalità dando vita a boschi maestosi: alberi imponenti che si elevano al cielo come colonne di una cattedrale e i cui frutti sono le castagne e le faggiole.

Qualcuno ha definito questa montagna un isola. Ebbene l'Amiata è da un punto di vista botanico, un sistema a parte. Come vedremo più avanti questa terra ospita specie rare, alcune endogene e una straordinaria varietà di erbe officinali.

Da sempre l'uomo ha cercato di porre rimedio ai propri mali usando i prodotti vegetali che la natura gli metteva a disposizione -del resto alcuni ritrovamenti archeologici lo dimostrano- e certamente si deve credere che ad alcune piante attribuisse poteri magici -ne sono testimonianza certi amuleti ritrovati in siti archeologici risalenti all'età del bronzo-.

La dominazione longobarda segna il momento storico in cui inizia la tradizione erboristica sul Monte Amiata che di sicuro, anche se mancano notizie certe, ha da sempre avuto questa vocazione. Anzi possiamo dire che laddove oggi sorgono abitati, un tempo dovevano essere i luoghi dove più rigogliosa cresceva la vegetazione, considerato che qui sgorgava l'acqua dalle falde sotterranee.

I primi accenni documentati in qualche modo sulla storia amiatina e sul sistema di vita delle popolazioni che vi abitavano sono legate alla costruzione dell'abbazia del SS Salvatore, costruita sotto l'ordine benedettino ad opera del monaco Erfone sotto il regno di Adelchi e Desideiro tra il 762 e il 770. In uno splendido pianoro lavico fu edificata questa abbazia che in poco tempo sarebbe diventata una delle più importanti del centro Italia grazie all'impulso datogli dai Carolingi a partire dal IX Secolo.

La sua vicinanza alla via Francigena deve aver influenzato la vita di questa abbazia infatti il tratto di strada che dall'Alto Lazio porta verso San Quirioco d'Orcia era gestito dai monaci. All'epoca la copertura ideologica offerta dal secolare inquadramento dei popoli al potere negli schemi religiosi ed ecclesiastici era una garanzia per accomunare popolazioni diverse sotto l'unica bandiera della cristianità e alle abbazie dunque spettava il controllo sui territori e di conseguenza anche su questo tracciato che fu l'arterea principale del regno Longobardo prima e Carolingio poi.

I conventi depositari della cultura classica fungevano anche da ospedali per cui i monaci avevano sicuramente cognizioni esaurienti sull'utilizzo delle erbe officinali. Di certo il monaco erborista (Infirmarius) doveva essere soddisfatto della straordinaria varietà e quantità di erbe officinali che aveva a disposizione.

A questo riguardo va citata una leggenda di cui ci parla Pio II nei suoi Commentari. Qui si narra che Carlo Magno diretto a Roma per essere incoronato imperatore dal Papa Leone III passando per quei luoghi con l'esercito fiaccato dalla peste, ebbe in sonno l'apparizione di un Angelo che gli disse Alzati e quando avrai salito quel giogo, scaglierai un dardo e coglierai quell'erba nella cui radice si sarà conficcata la freccia, la tosterai sul fuoco e ridotta in polvere la darai a bere insieme al vino ai malati. La leggenda vuole che l'esercito guarì. Noi possiamo solo dire che la carlina in questione è sicuramente la Carlina Acanthifolia la quale ha delle radici che hanno proprietà diuretiche e vermifughe e che da allora viene detta l'erba di Carlo Magno o Carolina,

In realtà, come citato dal monaco Alcuino, Carlo Magno visitò l'abbazia del SS Salvatore e fu accolto con grandi onori dalla comunità abbaziale tanto è vero che per riconoscenza questi concesse all'abbazia tutte le terre che dalla cima della montagna andavano fino al fiume Rigo, Paglia e Senna.

Resta la convinzione che l'uso delle erbe officinali sotto forma di infusi decotti pomate macerati etc. fosse di ordinaria attuazione. La capacità dei monaci di estrarre i principi attivi dalle piante per uso medico si poteva esplicare nella medicina empirica alle genti che popolavano la montagna.

 

Dell'Amiata quello che stupisce sono i boschi. Partendo dal basso, lasciata la macchia mediterranea e il leccio, incontriamo il cerro, rovanella, carpino, nocciolo, pino nero, pino silvestre, acero, alloro, pioppo e salici, ontano, frassino, sorbi, cipressi e corniolo, fichi, pruni, meli, peri, noci, ciliegi. Da quota 800 fino a 1100 il castagno, da sempre l'abero del pane (Svetonio 76/160 dc) e insieme all'olio nutrimento fondamentale delle popolazioni amiatine. Oltre quota 1100 il faggio di cui l'Amiata ospitata esemplari rari e ultracentenari. L'abete bianco che da queste parti viene chiamato Pigello e che cresce nei boschi di Pigelleto (Comune di Piancastagnaio), Vivo D'Orcia (comune di Castiglion D'Orcia), e Santissima Trinità (Comune di Santa Fiora).

Il sottobosco è ricchissimo. Non esiste metro quadrato in cui non ci sia un'erba un arbusto o un tronco. La sua vicinanza al mare Tirreno a ovest e la sua esposizione alla dorsale Appenninica e all'influenza dei Balcani da est favoriscono la crescita di numerose specie che hanno esigenze climatiche molto diverse.

Questa isola in terra ferma ospitata rarità botaniche come la lunaria purpurea, la viola etrusca, e decine di specie di orchidee selvatiche.

Qui ci preme ribadire la particolarità di questa terra come terra delle erbe officinali non solo per quantità della produzione, ma anche per la loro specificità e varietà: le erbe officinali come prodotti tipici del Monte Amiata.

Alcune specie sono endemiche di questa montagna, come la Viola etrusca, oppure la Centaurea carueliana M., molte altre cono rare come la Centaurea deusta T., Centaurea Variegata L., Centaurea triunfetti A, oppure il Crocus etruscus P, e molte altre ancora.

Particolare valore riveste la conservazione di alcune specie a grande rischio di estinzione anche qui come la Carlina acaulis, la Lonicera cerulea che ha come unico sito peninsulare il Monte Amiata e il Vaccinum Myrtillus che, forse come unico sopravvissuto dell'ultima glaciazione (11.000 anni fa) è ridotto a uno spazio di pochi metri quadrati.

L'industria del tutto pronto condiziona scelte, gusti, esigenze, ma certi sapori, e abitudini sopravvivono ancora e semmai ci appaiono come retaggi del passato. Così il ritmo del tempo viene in queste zone battuto da alcune consuetudini come preparare lo sciroppo di ciliegie visciole o il lamponato per cui non è raro vedere a Giugno appoggiati alla soglia delle finestre, rigorosamente esposti al sole, dei vasi contenti sciroppo con lo zucchero e ciliegie oppure sacchi di juta contenti lamponi e zucchero lasciati a sgocciolare per molto tempo o ancora, in estate, funghi messi a seccare dopo averli tagliati e infilsati con lo spago. Per non parlare delle castagne lesse messe a bollire con il finocchio.

Alcune abitudini sono cambiate radicalmente. Così non si usa più, per fini più propriamente scientifici, la carlina acaulisla quale, fissata alla porta di casa, fungeva da barometro: infatti questo cardo si apre se c'è bel tempo e tende a chiudersi se piove. Come in ogni parte d'Italia anche qui c'erano dei rimendi naturali come ad esempio usare il tarassaco (Taraxacum officinale L.), specialmente in primavera, contro il mal di fegato. Per curare bronchiti e tosse si mettevano bacche (cinorridi) di rosa selvatica (Rosa canina) a bollire per 15 minuti e poi si beveva la decozione.

Bacche e foglie di cipresso messe ab bollire in acqua per curare le emorroidi infiammate. Per le infiammazioni dell'apparto respiratorio decozione di Salvia (salvia officinalis L). Per pulire o ravvivare i colori dpanni si mettevano delle foglie di edera (Hedera helix) in acqua

Nelle processioni al posto dei ceri si usavano le Candelore intendendo con questo nome l'asfodelo (Asphodelus ramosum) pianta della fioritura precoce simile appunto a una torcia con un denso racemo apicale che porta dei fiori stellati e che bene si adatta all'uso.

 

La ricerca di miscugli di erbe aromatiche che avessero proprietà stomachiche o semplicemente che fossero gradevoli e adatte ad essere lavorate per produrre dei preparati alcolici o non da consumarsi nei lunghi inverni sono un retaggio delle tradizioni cenobiche.

L'estrazione delle proprietà amaricanti dalle erbe aromatiche si può fare o per decozione o per macerazione alcolica. La decozione che si fa bollendo la pianta in acqua ha lo svantaggio di non conservare il preparato a lungo come con la macerazione alcolica.

I primi macerati erboristici, nati dall'ingegno dei monaci speziali, nacquero probabilmente per soddisfare questa esigenza.

La nuova frontiera in campo alimentare è probabilmente quella di riappropriasi del gusto dell'olfatto e anche della vista. La nostra civiltà purtroppo spesso ci distrae da noi stessi, ci fa perdere il contatto con i nostri sensi e così ci troviamo a consumare pietanze e bevande di cui dopo un po' non ci ricordiamo neanche il sapore, tanto siamo disabituati a interrogare i nostri sensi per sapere che cosa ne pensano.

Allora questa volta il progresso potrebbe fare un passo indietro, tornare alla natura ricominciare a distinguere il profumo della lavanda da quello del timo oppure il sapore così diverso della salvia da quello del rosmarino, dell'origano, cerfoglio, menta., eccetera eccetera.

Sull'Amiata esistono delle aziende che operano nel settore della ristorazione che si muovono in questa direzione e esiste un azienda che produce dei preparati con frutta e erbe aromatiche e tutti operano assolutamente nel rispetto della naturalità dei prodotti cioè senza fare uso di aromi, essenze, coloranti, insomma non usando alcuni tipo di preparato di sintesi.

 

Più volte abbiamo parlato di macerazioni, infusioni fermentazioni alcoliche senza mai specificare bene cosa si dovesse intendere con questo termine. I prodotti ottenuti per macerazione alcolica sono dei preparati aromatici alcolici (quasi sempre molto aromatici) ottenuti dalla frantumazione e successiva macerazione delle erbe aromatiche in alcool. Se un tempo a questi prodotti si domandava di essere digestivi e quindi erano sempre a alta o altissima gradazione, oggi, più semplicemente, devono essere prodotti dopo pasto, cioè avere un retrogusto persistente e la loro funzione è quella di lasciare la bocca asciutta e pulita. I macerati d'erbe del Monte Amiata sono tutti moderatamente alcolici e la gamma di produzione comprende per ogni macerato miscele molto differenti di erbe. Considerati liquori da meditazione nel senso che, bevuti in bicchieri a pancia larga, affinché si scaldino con il palmo della mano, sono soprattutto bevande da odorare dopodiché il liquido centellinato a piccoli sorsi va lasciato per un po' fra lingua e palato per meglio gustarne l'aroma. Da una produzione all'altra il solito prodotto può mostrare qualche differenza per cui può essere più chiaro o più scuro. Anche il sapore può con il tempo modificarsi leggermente (anche se i macerati generalmente migliorano con l'invecchiamento). Va detto che alcuni di questi prodotti hanno bisogno di riposare in bottiglia prima di essere serviti.

 

Aureli Visconti

Lombardi e Visconti liquori

Abbadia San Salvatore